assuefazióne s. f. [der. di assuefare]. – L’assuefare e l’assuefarsi: a. a un clima, a un genere di vitto; a. a un farmaco (e farmaco che dà, o non dà, effetti d’a.) fenomeno che si verifica nell’organismo per effetto della somministrazione continua di un farmaco per cui viene a diminuire, o addirittura ad annullarsi, la sua efficacia;
(fonte: Vocabolario Treccani)
Chiaro no? Direi fin troppo.
Quando voglio analizzare un tema e comprenderne appieno la sua tematica di fondo solitamente mi rifaccio alla sua natura semantica e da lì parto. Non vorrei correre il rischio di passare per il semplicista di turno ma ho spesso l’impressione che alcune questioni siano più semplici e basiche di quello che in realtà ci vogliano far apparire. È ormai noto e risaputo a tutti noi quanto negli ultimi anni le tecnologie di carattere visual abbiano arricchito e implementato la qualità del mondo del live entertainment ampliandone le possibilità dal punto di vista delle scelte artistiche fino a far diventare alcuni concerti dei veri e propri show multimediali ma è altrettanto nodale comprendere che di uno strumento non è tanto la sua presenza in sé quanto l’utilizzo che ne viene fatto che ne determina il suo reale valore e ne giustifica la presenza… Sempre ammesso che questa sia ritenuta necessaria.
Diversamente dal recente passato viviamo in un epoca in cui l’essere umano, o meglio il suo occhio, ha quotidianamente e inconsapevolmente a che fare con un certo tipo di percezione visiva, basti pensare ai nostri amati smartphone/smartwatch, agli schermi dei nostri computer o tablet, ai TV al plasma, alle vetrine dei negozi o alle insegne pubblicitarie lungo la strada, ai touch-screen elegantemente inseriti nei cruscotti delle nostre autovetture, tutto rigorosamente in alta risoluzione, tutto in movimento e interattivo, tutto sempre più ultra-bright, tutto spinto, sempre e a tal punto da indurre il politologo e sociologo recentemente scomparso Giovanni Sartori a coniare un neologismo che indica un vero cambiamento antropologico: dopo l’Homo Sapiens proclamiamo l’arrivo dell’Homo Videns (più precisamente Sartori in un suo celebre testo fa riferimento alla televisione affermando che questa ha modificato radicalmente, impoverendolo, l’apparato cognitivo dell’ Homo Sapiens).
Per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco o falsa ipocrisia, premetto che ho realizzato anche recentemente live show con enormi superfici LED alle spalle dei musicisti (nel mio caso però è il sottoscritto che dirige la baracca del cosa/come/quando, della serie al di là del piaccia o non piaccia, c’è una persona sola che amministra la partita).
Ora venendo a noi e per tornare alla tesi iniziale, siamo proprio sicuri che sui palchi di mezzo mondo, Italia in primis, la presenza di enormi e spesso invasive superfici LED siano realisticamente/aristicamente indispensabili? La mia domanda ha un sapore palesemente retorico svelando già quale sia il mio pensiero in proposito specialmente annotando quanto frequentemente i famigerati LEDWall siano mal utilizzati per una serie di questioni sulle quali non voglio qui disquisire e dilungarmi (ma in futuro mi piacerebbe farlo!).
Tutto questo pippone introduttivo per dirvi che ho appena terminato le prime quattro date del tour di Gianna Nannini (Mediolanum Forum Milano, Palalottomatica Roma, doppia data al Mandela Forum Firenze), che riprenderà nei palasport ad aprile dopo una parentesi tedesca di dieci date a marzo.
Ebbene si, udite udite, Gianna non è interessata alla sua immagine nei LEDWall, al lettering in karaoke-style, al solo di chitarra in primo piano o all’immagine del fan che canta a squarciagola in transenna! Gianna è più interessata alla sua performance, agli arrangiamenti dei brani, all’aspetto estetico nel senso più allargato del termine che oltre ovviamente alla musica contempli una organica originalità della scena, insomma al quadro d’insieme.
La Gianna Nannini artista già la conoscevo bene in veste di fruitore di musica degli anni 70’/80’ (posseggo ancora vinili dei suoi primi dischi) ma quando l’anno scorso ci siamo incontrati per la prima volta e cercavo di carpire dai nostri dialoghi che idea avesse riguardo a un suo concerto dal vivo, ho intuito che avevamo dei punti di contatto a livello ‘macro’ che avrebbero potuto portare al raggiungimento di un buon risultato finale proprio facendo leva su questa comune unità di intenti.
Nel lungo e fortunato tour teatrale dell’anno scorso era abbastanza scontato e comprensibile che non fosse previsto nessun tipo di apparato visual ma quando in fase di proposte progettuali per il tour nei palasport io e lo scenografo Igor Ronchese gli abbiamo presentato un concept che non prevedesse l’uso di massificanti schermi a LED e per di più assimmetrico!!!
Non nascondo che, ricevendo un suo parere positivo, la cosa mi abbia rigenerato e motivato ulteriormente. Piccolo inciso: è anni che propongo a destra e a manca concept design con una matrice strutturale che consideri l’elemento assimmetria, sia essa ‘moderata’ oppure ‘esasperata’, come fattore caratterizzante ma i feedback da parte del management e/o dell’artista di turno sono sempre stati mediamente sconfortanti. D’altra parte si sà, gli artisti sono di base degli insicuri e l’incertezza spaventa…
Chiaro no?
E quindi vai con 5 truss ‘zizzaganti’ tutte differenti e per composizione e per altezze (tolto la classica backtruss e due sidetruss speculari), vai con 12 pod di cornici video (immagine coordinata con la copertina dell’album) con un utilizzo misurato ed esclusivamente grafico, posizionati in maniera apparentemente disordinata e irregolare all’interno dei quali alloggiare dei motorizzati, vai con una serie di tulle (sganciati tramite elettro-calamita all’ottavo pezzo con effetto kabuki) per giocare nella prima parte del concerto tra luci ed ombre, vai uno star-cloth alle spalle dei pod e acceso solo tre volte in due ore di concerto, vai con un proiettore 35k lumen in sala a mappare i teli e poi il fondale, il tutto per cercare di dare un personale linguaggio ai tre blocchi della scaletta.
Ovviamente tutto ciò è risultato assai più complesso non solo per la parte logistica e di montaggio ma anche e soprattutto per l’aspetto della gestione illuminotecnica, pulizia e attenzione nei puntamenti, drastiche scelte artistiche e per l’organizzazione e ottimizzazione della console etc… ma non è di tecnica che qui voglio parlare (casomai sempre in futuro, segnate).
Qui voglio semplicemente annunciare ufficialmente che i concerti si possono ancora fare senza i back LEDWall; si, quelli che molto spesso banalizzano, uniformano, appiattiscono, creano assuefazione.
Chiaro no ?
Jo