No, non esiste regolarità nel lavoro di un Lighting Designer.
A volte tutto fila liscio dal primo bozzetto fatto a penna su un tovagliolo di carta a quando richiudi il case della console alla fine dell’evento – tutto esattamente come lo avevi progettato. Altre volte, invece, è necessario… “adattarsi”, come ad esempio succede a me quando mi trovo nell’universo mistico dei suoni e delle luci di Umbria Jazz, dove anche quest’anno, per la seconda volta, ho gestito il progetto dell’ ERG stage. Umbra Jazz è una stupenda esperienza umana e lavorativa, dove si lavora con tecnici veramente qualificati e professionali, che sono anche persone umanamente meravigliose. Tutto questo incoraggia e favorisce il fare bene, e ispira riflessioni come questa che sto per condividere con voi.
La Resilienza è una di quelle carte che deve sempre stare fissa nella tasca di un Lighting Designer. Qualcuno la definisce “capacità di adattamento”, ma penso che sia ben più di questo. Io la intendo come abilità di vedere in ogni “problema” l’opportunità di dare il meglio di sé.
Accade infatti che dopo aver pensato a un progetto e averlo disegnato, arriva il giorno dell’allestimento e già subito devi cambiare qualche posizione, le fixture non sono tutte quelle che hai previsto sulla carta – per svariati ma ben noti motivi – i fondali sono troppi vicini alle luci, eccetera, eccetera, eccetera. Insomma, il catalogo è ampio!
E poi, una volta finito l’allestimento, trascorri tutta la notte tra le stelle e le memorie da fare, e… no, il buio che ti serve, quello non c’è mai, perché la piazza deve essere illuminata a giorno per tutta la durata della manifestazione, per motivi di ordine pubblico e sicurezza.
È da lì che comincia la sfida: fare il lavoro migliore in condizioni tutt’altro che ideali. Inizi a concentrare le idee sui gruppi che si esibiranno sul tuo stage, pensi alla musica che suoneranno, alla disposizione. E subito ti vengono in mente le memorie di posizione: per i gruppi noti precise sugli strumenti e sul loro stage plot, per i gruppi meno noti posizioni un po’ più larghe. Poi passi alle memorie colore e memorie effetti. La piazza illuminata a giorno, il disegno modificato e il palco vuoto certo non aiutano, ma quando hai l’immaginazione accesa le memorie escono fuori quasi da sole.
Arriva il primo giorno di festival, si accendono le luci e i suoni, e tutt’a un tratto “apri gli occhi” su quello che hai fatto: lo spettacolo è bellissimo, le luci stanno facendo un grande lavoro insieme alla musica, e tu diventi euforico di soddisfazione!
Certo bisogna aggiustare un po’ il tiro delle posizioni, e ad ogni minuto che passa, guardando i gruppi sul palco e ascoltando la musica, accade sempre che ti vengono in mente nuovi effetti e nuove cue da creare. Ma a quel punto ti rendi anche conto che sei andato oltre gli ostacoli e le paranoie della pubblica illuminazione parassita, o magari della copertura del palco che se non fosse stata bianca… e stai viaggiando veloce, più forte che mai, più esperto di prima, e magari un grazie lo devi non solo a te stesso ma anche alla grande squadra che hai avuto la fortuna di avere accanto.
Concludendo, le condizioni ideali per un Lighting Designer non esistono, per fortuna. E poi se anche esistessero, dove starebbe il divertimento?
PATRICK VITALI,
LD Professionista AILD
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